Una messa per le 100 le persone che nel 2024 hanno concluso il programma terapeutico nelle strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII.
di Emanuela Frisoni
Era affollata anche quest’ anno la Chiesa “La Resurrezione” di Rimini per la tradizionale Messa del Riconoscimento del 26 Dicembre.
Un appuntamento voluto da don Oreste Benzi una trentina di anni fa e che ogni anno continua a rinnovarsi per celebrare il ritorno alla vita delle tante persone accolte nelle strutture terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII.
E’ un “Grazie” corale e partecipato quello che si respira in questa particolare messa, occasione preziosa per la grande famiglia comunitaria, i parenti e gli amici che si stringono attorno ai propri “ragazzi” in un clima di speranza e fiducia ritrovata. Sono poco più di 100 coloro che nel 2024 han concluso il loro percorso terapeutico, di cui circa una sessantina presso le comunità terapeutiche italiane e una quarantina, collegati in diretta streaming dalle strutture terapeutiche della Papa Giovanni XXIII situate in Brasile, Cile, Bolivia e Croazia.
“Oggi qui c’è tanta gioia” ha esordito Monsignor Domenico Beneventi, vescovo della diocesi San Marino e Montefeltro, chiamato a presiedere la cerimonia. “In fondo nel cuore di ogni uomo vi è il desiderio di essere felici. Il punto è da dove partono i nostri desideri di felicità? Felicità è alzare lo sguardo. Felicità è uscire dalle tenebre, cercare la vera Luce, Cristo”.
E di sguardi accesi dopo tanto buio e solitudine ce ne sono tanti tra i 100 festeggiati, tra cui quello di Elvira, 40 anni, che si è avvicinata alle sostanze quando era poco più che bambina. “Pensavo di non meritarmi di vivere” – ha dichiarato in un suo messaggio. “Ero arrivata al punto in cui cercavo ogni giorno di morire. Qui ho imparato a vivere. Ad amare la vita.”.
“Mi ha fermato un arresto per spaccio” ha detto Alex, 27 anni, in un’intervista rilasciata a margine dell’evento. “Per fortuna, la mia famiglia, e i miei datori di lavoro mi sono stati vicini. Il mio arresto mi ha fatto capire che stavo sbagliando tutto. Sto finendo il mio percorso, sono tornato al mio lavoro di prima. Oggi è una vera festa per me. Non sto nella pelle!”
Tra i festeggiati c’è anche Rossella che a 44 anni dichiara: “Mi ero ormai rassegnata dopo 27 anni di vita randagia fatta di violenze, carcere. Quando ho incontrato la Comunità Papa Giovanni XXIII non è stato facile fidarmi di loro. Sono arrivata in comunità terapeutica con un sacchetto con dentro solo un paio di mutande. Non avevo cura della mia persona. Qui per la prima volta mi hanno trattato come una persona, senza sfruttarmi, prendendosi cura di me. Mi hanno ridato dignità come donna. Ho trovato una famiglia”.
Negli occhi di Samir, 28 enne originario del Marocco, traspare una felicità nuova. La frequentazione di compagnie sbagliate, l’urgenza di fare soldi facili lo hanno spinto a infilarsi nel giro dello spaccio e della dipendenza pochi anni dopo al suo arrivo in Italia. Il carcere e la Comunità lo portano oggi a guardare la vita in modo nuovo. “C’è speranza – dice – l’ho toccata con mano. La vita di comunità, gli operatori, le persone di buona volontà che ho incontrato, hanno vinto ogni mia diffidenza e senso di fallimento. Cosa farò post-percorso? Voglio dedicarmi ai giovani. Sto valutando la possibilità di poter lavorare in una comunità di recupero per minori. Vorrei che la mia esperienza di rinascita possa essere messa a servizio del bene”.
Una pagina bianca tutta da scrivere per questi ragazzi e le loro famiglie. Una Comunità pronta a sostenere e accompagnare ognuno di loro verso nuovi passi. L’invito a camminare insieme per sconfiggere ogni solitudine ed essere persone di speranza, in momenti come questi, si fa tangibile. Un invito di valore universale, l’esortazione per tutti ad accendere il “nostro cerino” anziché, spesso, continuare a imprecare contro al buio.