Celebra i suoi primi 10 anni la Comunità Terapeutica S. Lucia rivolta a persone con problemi di dipendenza da alcol
“Perché sono qua? Perché, il mal di vivere a un certo punto della mia vita mi ha colpito?” Se lo chiede spesso Adriana, 46 anni, da quasi 5 mesi accolta nella comunità Terapeutica “Santa Lucia” a Sala di Cesenatico. “Eppure ho condotto una vita assolutamente serena, ho fatto quello che volevo, ho studiato, mi sono laureata in giurisprudenza, sono un avvocato”.
“Sono un fisioterapista, mi considero una persona sensibile” racconta Giovanni “Una famiglia disfunzionale la mia, anni di terapia. Ho iniziato a bere per reggere a una situazione di forte dolore che vivevo in ospedale, luogo in cui lavoravo. Era duro vedere dei bambini morire”.
“Ho 37 anni, sono un metalmeccanico. Ho iniziato fin da minorenne ad usare droghe ed alcol assieme ad amici e alla ragazza con cui stavo. Sono figlio di un alcolista” dice Andrea con un misto di amarezza.
Testimonianze diverse per età, stili di vita, provenienza, unite da un comune denominatore: la dipendenza da alcol. Una dipendenza che anche in Italia non tende a diminuire. L’annuale relazione al Parlamento sul fenomeno delle Dipendenze riferisce che il consumo a rischio di alcol nella popolazione 18-64enne nel corso degli anni sia aumentato passando dal 5,6% nel 2006 all’8,8% nel 2022.
Numeri, analisi di un fenomeno dietro al quale ci sono storie come quella di Adriana, Giovanni e Andrea che dopo anni di solitudini, e vicende personali e familiari gravemente compromesse hanno scelto di intraprendere un percorso di rinascita presso la Comunità S. Lucia, una struttura terapeutica della Comunità Papa Giovanni XXIII, specializzata nel recupero dalla dipendenza da alcol. Un percorso terapeutico in cui – come sottolinea Paola Zomegnan responsabile della struttura – “cerchiamo di aiutare le persone a riprendere in mano la propria vita, facendo, a piccoli passi, riassaporare loro la quotidianità nella riscoperta di valori che dentro avevano già sperimentato ma nei momenti bui delle loro vite avevano perso. Rieducare alla Speranza e per chi lo vuole, anche in un cammino alla riscoperta della fede cristiana, imparare a perdonarsi, sono tra i punti fondanti di tutta la nostra azione di recupero”.
Un’ azione terapeutica importante ben integrata coi servizi del territorio e i SerD locali ma anche con la parrocchia e le cooperative locali che danno lavoro alle persone accolte. E di persone in dieci anni di attività ne sono passate parecchie in questa struttura: più di 200, accolte da varie parti d’Italia.
Sabato 5 Ottobre, “S. Lucia” ha celebrato un traguardo importante: il suo primo Decennale. Presenti i vecchi e nuovi ospiti della struttura, le loro famiglie, le istituzioni civili e religiose del territorio e tanti amici e membri della Comunità Papa Giovanni XXIII.
L’occasione non solo per celebrare la speranza di vite rinate, ma anche per affermare a chiare lettere quanto l’alcol sia un problema sociale di portata enorme da non sottovalutare. Diventarne dipendenti, con forti compromissioni fisiche e psicologiche è un rischio che purtroppo non conosce limiti di età.
“Il “signor Alcol” è legale e si fa forte di questo” – han detto gli accolti della Comunità Santa Lucia in un loro toccante intervento durante il decennale- “è furbo doppiogiochista, bello esteriormente, ammaliatore, subdolo, seminatore di morte, gode della nostra vergogna, viziato, pretende coccole e attenzioni, possessivo, promette e non mantiene, multiforme e multicolor, raccomandato, si diverte mentre ti uccide, parla lui per te e non sei tu a parlare”.
Parole a cui fanno eco alcune testimonianze raccolte per l’occasione, tra cui quella di Giovanni che dice di aver avuto fasi di alcolismo molto forti. “Passavo giornate e notti intere a bere, poi magari per una settimana e dieci giorni non toccavo alcol. Quando però ci ricascavo, tornavo ad andare a fondo tanto da non capire cosa facevo, da perdere completamente connessione, pur di non pensare, perché poi è sempre lì il punto, lo spegnersi. Ubriacarsi è una sorta di piccolo suicidio temporaneo”.
“L’amico alcol ha approfittato della mia depressione”, -ha raccontato Adriana- è stato bravo, estremamente subdolo e bastardo, si è infiltrato nelle mie fragilità”.
“Sono arrivato a dei livelli di dipendenza da alcol e altre sostanze che mi hanno reso violento anche nei confronti della mia famiglia. Sono qui per cercare di ricostruire quello che ho mandato in pezzi in primis il rapporto con mio figlio e la mia compagna” le parole di Andrea.
Cosa si impara dalla vita di comunità?
“In una comunità”- dice Giovanni- “ti ritrovi con persone completamente diverse da te, persone che non frequenteresti mai fuori, altre invece, con cui usciresti tutte le sere, e dunque vengono fuori lati di te, sconosciuti. Ad esempio io ho dovuto imparare a litigare. Io che sono una persona che non litiga, a volte evitante, qua ho dovuto imparare anche a dovermi difendere, dunque anche a litigare, che detta così sembra una cosa brutta, in realtà, non lo è. Sto imparando a prendere delle posizioni, espormi. Qui sto ritrovando la voglia di rimettermi in gioco, tornare al lavoro, continuare a studiare”.
“Sono qui da poco più di 4 mesi”-racconta Adriana- . Sto facendo i conti con la mia rabbia nel tentativo di imparare a gestirla. E’ una messa alla prova quotidiana. Quando pensi di esserci arrivata, non è vero niente. Insomma c’è da lavorare. Qui ho ritrovato il sonno, la pulizia del corpo, la cura per me stessa. Sto ritrovando i miei punti di forza che avevo scordato. Uno di questi è il fatto che sono una persona che sa voler bene. Sto imparando a perdonarmi”.
“Io, a gestire la pazienza” – continua Andrea-. “Sono uno che ha sempre voluto tutto e subito. La vita di Comunità mi sta insegnando a ricostruirmi la vita mattone per mattone. Nella vita sono sempre stato un gran lavoratore. Lavorare, sento che è un mio punto di forza, oggi come per il futuro. Voglio spezzare la catena di dipendenza da alcol che ha travolto i miei nonni, mio padre e me, ora. Anche questo mi dà motivo per rimanere qui.
“Mio figlio che ha sei anni è legato a me, so di mancargli” -conclude Andrea-. “Ogni volta che viene a trovarmi gli faccio delle piccole sorprese. L’ultima volta, gli ho fatto trovare un’altalena costruita da me. Vorrei sempre fargli dei regali come a compensare questa forzata lontananza, ma sono certo che per lui, il regalo più prezioso sia che il suo babbo stia bene”.
Se hai bisogno di aiuto, puoi contattarci qui. Sono tanti i nostri percorsi terapeutici che possono darti supporto.
di Emanuela Frisoni