“Facciamo fiorire il nostro ramo!” – L’invito alla Rinascita di Antonia Chiara Scardicchio

Chiara Scardicchio_S.Pasqua 2024

 

di Emanuela Frisoni

Antonia Chiara Scardicchio incontra le persone accolte nelle Strutture Terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII ed i loro operatori attorno al tema: forza-debolezza 

Cos’è la forza, cos’è la debolezza? Possiamo intendere le nostre fragilità come chiavi di accesso in grado di aprirci a orizzonti nuovi? È su queste tematiche che più di 200 persone accolte nelle strutture terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII si sono trovate a riflettere nel tradizionale appuntamento preparatorio alla Pasqua svoltosi a Rimini il 20 Marzo. Ospite d’eccezione Antonia Chiara Scardicchio. Una testimonianza autentica, emotivamente forte, in cui Chiara ha saputo mettere al centro tutta la sua umanità e capacità di comunicare Bellezza. Lo ha fatto senza mettersi in cattedra, nonostante sia una rinomata docente Universitaria, con all’attivo tante pubblicazioni e seminari tenuti in tutta Italia. Si è posta in dialogo con estrema umiltà, raccontandosi.

“Ognuno di noi, nella vita, la morte l’ha incontrata” -ha esordito Chiara- “accade quando scendiamo a cospetto del nostro dolore. La ferita più grande è quella di non essere stati mai visti, mai guardati con attenzione. Come ti cambia la vita se sei stato sotto uno sguardo tenero o no

Mi sono sentita spesso arrabbiata e mi chiedevo davanti a certe prove che mi sono arrivate nella vita quale fosse la logica per cui alcune vite procedono in un modo e altre sono straziate. Perché proprio a me? Poi ho capito che spesso cerchiamo di piegare Dio alla nostra logica. Tutti abbiamo l’abitudine davanti al dolore o a reagire con rabbia, quindi attaccare, o con paura, quindi a scappare”. 

Possono le nostre storie di dolore diventare generative?

Una domanda puntuale e diretta da parte di Antonia Chiara Scardicchio, che ha toccato il cuore di tutti i presenti, persone spesso con storie di rifiuto alle spalle, ingiustizie, tradimento, umiliazione, vissute sulla propria pelle o inferte ad altri. Persone ferite dal non amore. Persone disilluse. 

“Se è vero che la corteccia cerebrale è la sede dell’anima” -ha sottolineato Chiara- “quando permettiamo al dolore di passare nell’anima, allora abbiamo il coraggio di attraversare il nostro abisso, contemplare: guardare senza giudicare. Davanti alla domanda “Perché restare vivo se tutto è così pesante per me?”, sapete quale può essere già adesso il giorno della nostra Resurrezione? Quando scegliamo la vita. E non è scontato farlo quando il peso sembra mangiarci, quando ci siamo sentiti negli abissi, senza più fiato. È lasciare andare il “combattere”, inteso come forza da esercitare, guardando a Gesù fragile. Io nel guardare mia figlia che è autistica grave e non parla, sto imparando a fare così. Mia figlia agli occhi del mondo non ha niente, ci mostra un’altra logica. Non possiamo proporre un’idea di felicità che scansi l’idea della morte. Alcune cose del nostro passato non le possiamo cambiare, ma è proprio da lì che possiamo ricominciare! È importante lasciare andare la pretesa di possedere, lasciare andare il bisogno di giudicare me stesso, gli altri, Dio. Ho imparato da un’amica di 85 anni, che a sua volta l’aveva imparato dal suo papà, che la preghiera al Signore più autentica è fatta solo di due parole: FAI TU! Mi capita di pensare che ho ricevuto uno scrigno, dentro c’è una ferita, ma quella ferita può essere una consegna. La consegna è quella di trasformare questa ferita. Dio cambia la logica! Allora forse quel dolore non è una punizione ma un TALENTO”.

Cosa ci salva?

 “L’esperienza di relazioni autentiche, salva” – ha continuato Chiara- “Pensate solo ai vostri operatori, persone appassionate dell’ ‘umano’, di voi, delle vostre storie, della vostra Grazia.  Che cosa mi rende umano?  Imparare a non aver paura che risuoni il dolore, ma sapere che non è l’ultima parola. Sentire la rabbia, ma non diventare rabbia. La ferita diventa cura il giorno in cui smetto di idolatrarla. Rinasco, quando smetto di guardare solo a quella e imparo a vedere di più e meglio. La mia identità non coincide con la ferita. Allora può diventare un talento, una feritoia. Tu vedi quello che altrimenti non vedresti. Nel nostro offertorio impariamo a dire “Signore ti porto tutte le mie notti buie”.  Dio viene straniero a chiederci di cambiare il consueto. Provate a cercare, forse nell’ora più buia in cui ci siamo sentiti abbandonati, lì, siamo stati chiamati da Dio a scrivere una nuova storia. L’eroe quando è nel bosco scopre sé stesso. Proviamo a guardare con benevolenza anche il giorno del dolore. Dio parla nella notte, ci parla della benedizione dell’essere vivente. Dio ha rinunciato all’onnipotenza e viene a “tremare” nell’umano. Solo tremando scopriamo di essere umani”.

Un augurio che sa davvero di Pasqua, di Rinascita, quello di Antonia Chiara Scardicchio, l’invito  ad uscire da uno stato di rassegnazione e ad essere generativi pur non rinnegando le nostre debolezze: “Quando andiamo in mille pezzi, abbiamo la possibilità di costruire una forma che non è più quella di prima.  Prezioso allora diventa utilizzare il dolore e le nostre ferite per essere un uomo nuovo, una donna nuova. Solo così impariamo a risuonare. Essere vivi! Facciamo fiorire il nostro ramo!”

 

Rinascita ragazzi comunità terapeutiche

 

Se hai bisogno di aiuto o vuoi conoscere meglio i nostri percorsi terapeutici, sul nostro sito trovi una chat di aiuto e una pagina di contatti.