La sfida dell’arte per “guarire” dalla dipendenza

Il racconto del “progetto integrato” di arte e spiritualità della struttura terapeutica San Giovanni Battista, della Comunità Papa Giovanni XXIII.

 

Musicoterapia arteterapia

 

“L’opera d’arte è un simbolo non discorsivo che riesce ad articolare ciò che risulta ineffabile in termini verbali, essa esprime consapevolezza diretta, emozione, identità, la matrice del mentale”

Lo sosteneva con fare convinto la filosofa statunitense Susanne K. Langer già il secolo scorso e nel tempo anche psichiatri e psicoterapeuti, che già negli anni ‘50 iniziarono a considerare sempre più l’importanza dell’arte quale strumento terapeutico, mezzo facilitatore simbolico in grado di svelare significati inconsci e stimolare una comunicazione profonda non verbale. L’arte dunque, come modo per liberare ciò che blocca la persona e  migliorare la qualità della vita.

 

E’ su questi principi che nel XX secolo, grazie a psicoterapeuti insigni, si sviluppano i principi delle arti applicate a scopo terapeutico.  L’ Arteterapia per le arti figurative, così come la Musicoterapia, che utilizza l’ascolto programmato o l’improvvisazione musicale estemporanea, e la Danzaterapia, nel tempo si attestano sempre più come  strumenti efficaci allo scopo di mettere in luce le risorse e le qualità della persona piuttosto che incentrarsi esclusivamente su un malessere. Vere e proprie discipline efficaci per promuovere la salute psicofisica di chi ne usufruisce,  stimolando risorse creative, espressive, affettive, cognitive e relazionali. 

 

Lo sanno bene gli educatori della comunità terapeutica San Giovanni Battista di Bologna che ormai da una decina d’anni annoverano tra i propri strumenti riabilitativi anche quello di un “progetto integrato” che fa dell’arte e della spiritualità il suo punto di forza.

“Tutto è nato dall’ esigenza di individuare dei canali di comunicazione coi nostri utenti non solo di tipo verbale” racconta Elvira, musicoterapista ed educatrice presso la struttura San Giovanni Battista. “Le persone da noi accolte sono pazienti cosiddetti “older”, che oltre ad avere alle spalle lunghi anni di marginalità sociale, possono presentare decadimenti cognitivi e cronicità importanti per cui diventa difficile lavorare con loro a livello cognitivo verbalizzante”. 

 

Danzaterapia

 

Una sfida importante resa possibile anche da specifiche competenze già insite nel team educativo della struttura. Un team formato da Giovanna Boccardo, responsabile della struttura, educatrice ed arteterapeuta, Elvira Sinno musicoterapista ed educatrice, e da un terzo educatore, Alberto Zucchero, diacono e laureato in scienze teologiche. Il team educativo ha elaborato, grazie anche alla supervisione della psicoterapeuta Chiara Griffini, un’attività strutturata che alterna laboratori di arteterapia a quelli di musicoterapia e percorsi di spiritualità. Un vero e proprio percorso integrato con laboratori svolti  a cadenza regolare all’interno della già tante attività di tipo educativo e ordinario della struttura stessa.

 

Quanto è efficace in un contesto di comunità terapeutica l’uso strutturato di laboratori di questo tipo? – Lo chiediamo ad Elvira Sinno, educatrice e musicotepeuta attivamente impegnata nel progetto-.

“Attraverso i nostri laboratori che pongono al centro la musica, il corpo, il disegno, i movimenti, dunque un linguaggio non verbale, siamo consapevoli di maneggiare strumenti potentissimi attraverso i quali vi è un accesso diretto alla sfera emotiva delle persone da noi accolte.  Dopo tanti anni di dipendenza diversi di loro hanno seppellito le proprie emozioni. Tentiamo dunque di accompagnarli alla riscoperta delle proprie emozioni per imparare a riconoscerle, dar loro un nome,  e poi, puntando sempre più in alto, riuscire ad autoregolamentarsi.  Questi linguaggi permettono anche di farci lavorare un pò di più sulla possibilità di integrare i loro mondi interiori con la realtà esterna. 

Come musicoterapeuta, per esempio, constato continuamente durante i laboratori la potenza che ha la musica nell’ innescare i ricordi nelle persone. Cosa che non sempre a livello cognitivo si riesce a fare. Evocare un’immagine, un ricordo in un contesto controllato, protetto, permette di riconoscere ed esprimere emozioni, reinterpretarle e collocarle nella propria storia.  

Più in generale, che si tratti dello strumento figurativo o della musica, le nostre attività sono incentrate sulla percezione del sé corporeo. Tutto questo grazie anche all’utilizzo di tecniche di rilassamento.  Dinamiche che puntano a favorire la gestione del silenzio, del rispetto delle regole, obiettivi non facili per i nostri accolti, la maggior parte dei quali viene da anni e anni di confusione. Altro elemento fondamentale è proprio la relazione con l’altro, perché questa modalità di gruppi che lavorano sull’immediatezza dell’emozione offre loro la possibilità di rispecchiarsi nell’altro, quindi io mi rivedo nell’altro senza utilizzare neanche la parola, rivedo nei suoi gesti, nella sua emozione, nel suo sguardo, nel suo comportamento, il mio vissuto; non mi sento giudicato, riconosco qualcosa, un dolore oppure un passato che in certo qual modo mi appartiene. Tutto questo facilita anche la relazione nel gruppo e la capacità di socializzare e di raccontarsi, perché nel momento in cui non mi sento giudicato, sento che anche l’altro ha un vissuto simile al mio e butto giù la maschera. L’ immediatezza dell’emozione non ti fa contenere tutto quello che vorresti nascondere e, a quel punto, la relazione è facilitata”.

 

Musicoterapia

 

Come si colloca in tutto questo il percorso più di natura spirituale?

“Se parliamo di linguaggi non verbali e di natura introspettiva, ritengo che anche il rapporto col mondo spirituale vi possa rientrare a pieno titolo. Parliamo di ‘mondo spirituale’, inteso come capacità di entrare dentro di sé e riconoscere una forza superiore, una protezione  capace di dare speranza e il calore di potersi sentire accompagnati.  La dimensione  spirituale peraltro identifica il metodo della  Comunità Papa Giovanni XXIII,  e ritengo sia fondamentale, in un progetto riabilitativo terapeutico, analizzare anche questa dimensione, perché il rapporto con la fede aiuta a proiettarsi nel futuro. Soprattutto in quei momenti in cui si fa più fatica e vi è il bisogno di trovare speranza, individuare riferimenti alti, nuovi per la propria vita”. 

 

Tecnicamente il “progetto  integrato” come si sviluppa?

“I laboratori si svolgono in una routine cronologica in cui si alternano sessioni laboratoriali di arteterapia, sessioni di musicoterapia e sessioni di natura spirituale. Ogni anno viene trattato un tema specifico.  Tutti i temi solitamente scaturiscono da visite a città d’arte da cui prendiamo spunto per sviluppare determinate tematiche. Per esempio abbiamo visitato i mosaici di Mantova, e da lì abbiamo individuato il tema di una sessione delle nostre attività dal titolo: “il mosaico”. Da questo tema è partita un’ attività laboratoriale che ha posto al centro il nostro corpo, pensato come un mosaico complesso costituito da diversi elementi che rendono ciascuno unico e irripetibile.

Recentemente siamo andati a visitare Assisi e il tema scelto assieme, dopo aver incontrato la spiritualità Francescana e visitato la città, è stato il tema del perdono. Sia i temi, sia quanto accade all’interno dei nostri laboratori, è continuativamente supervisionato dalla nostra psicoterapeuta, che svolge un ruolo fondamentale con noi educatori durante le regolari supervisioni e coi nostri utenti nelle restituzioni conclusive. I tre tipi di percorso si alternano a cadenza settimanale in cicli della durata di diversi mesi. Ovviamente in ogni laboratorio si parte dal richiamare quanto realizzato la volta precedente.  E’ un po’ come se ci fosse un leitmotiv che lega tutti i laboratori pur nella diversità di linguaggi usati,  per cui può capitare che nel mio laboratorio di musicoterapia io parta proprio dai disegni prodotti durante il laboratorio precedente di arteterapia e da lì poi mettiamo dei suoni, delle canzoni, dei testi che ricordano appunto il tema che si sta trattando e così a seguire poi con il laboratorio sulla spiritualità”.

Arteterapia e spiritualità

L’ arte declinata nelle sue varie sfumature, dal tuo punto di vista, “guarisce”?

“Il termine guarigione è un termine complesso, veramente complicato ed ampio. Noi sappiamo bene, lavorando nel campo delle dipendenze, che sicuramente bisogna andare a lavorare, per quanto riguarda un comportamento,  con un’impronta cognitivo-comportamentale perché si devono andare a modificare dei comportamenti. Ma questo, credo che sia estremamente insufficiente, perché poi il cambiamento vero è quello interiore. E’ anche attraverso questi laboratori che la persona riscopre delle parti di sé, si rivede e quindi  ha l’opportunità di avviarsi verso una guarigione. Guarire inteso un po’ come curarsi l’anima. Curarsi l’anima in un cammino di aiuto. Le emozioni sono un tasto delicatissimo soprattutto per chi ha una doppia diagnosi, per chi non le riconosce, per chi viene quasi fagocitato e certe volte è in preda a stati emotivi alterati che lui stesso fatica a riconoscere. Un ambiente protetto in questo caso aiuta, il gruppo aiuta, perché fa da rispecchiamento, quindi aiuta l’uno a rivedersi nell’altro sospendendo il giudizio, accogliendo le fragilità, i nodi ancora da sciogliere. Anche grazie a quanto emerso nelle attività laboratoriali, dal confronto con il nostro supervisore spesso emerge la scelta di indirizzare diversi nostri accolti verso un percorso di psicoterapia. 

Un approccio terapeutico-educativo di questo tipo assieme dunque alla psicoterapia e alla vita comunitaria con le sue regole di vita, sono davvero un’opportunità di rinascita, fatta di piccoli passi ed equilibri precari, ma dove la relazione e l’ascolto profondo leniscono il tanto dolore in cui ogni giorno ci imbattiamo.

 

di  Emanuela Frisoni