Sono passati solo pochi giorni dal primo suono di campanella che, in Italia, ha visto tornare sui banchi di scuola oltre 7 milioni di studenti.
Un anno scolastico che già si preannuncia ricco di aspettative e novità, ma anche carico di problematiche vecchie e nuove. Un sistema educativo complesso, quello della scuola, a cui è affidato il compito di garantire l’acquisizione di competenze, conoscenze e abilità e allo stesso tempo di favorire un percorso di formazione individuale e sociale. Processo tutt’altro che semplice, una sfida importante che richiede l’impegno dell’intera comunità, azioni sinergiche tra le varie figure coinvolte: studenti, insegnanti, familiari, educatori, specialisti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario. In ballo c’è la sfida più bella e importante: prendersi cura delle nuove generazioni e del loro futuro.
La Cooperativa Comunità Papa Giovanni XXII da circa trent’anni propone alle scuole interventi educativi nell’ambito della prevenzione del disagio e della promozione del ben-essere rivolti a bambini, preadolescenti, adolescenti e ai loro adulti di riferimento. Un tipo di attività, questo, che si struttura dapprima nel territorio di Rimini e che oggi è presente laddove gli operatori della cooperativa hanno iniziato a proporre percorsi formativi in modo stabile. Sono presenti attività quindi nella provincia di Vicenza, Lodi, Milano, Cuneo, Bologna e Forlì-Cesena ed altre province si stanno aggiungendo come, ad esempio, Chieti, Catania e Ragusa.
In questi giorni, sul sito della Cooperativa, è stata pubblicata una nuova sezione, consultabile cliccando su questo link, dedicata proprio all’impegno nella “Prevenzione“. In essa sono contenute la maggior parte delle proposte formative attualmente offerte alle scuole, ma anche ai territori (gruppi, associazioni, parrocchie, aziende, società sportive…). Si tratta di rassegna di percorsi ricca, ma non esaustiva. Le agenzie interessate sono invitate a progettare assieme allo staff dell’Area Prevenzione della Cooperativa percorsi nuovi, attuali, il più possibile vicini ai bisogni dei loro beneficiari.
Le diverse proposte sono progettate e realizzate da un team di educatori, pedagogisti, psicologi ed esperti con formazioni specifiche nell’ambito dell’arte (musica, teatro, pittura…) e delle tecnologie, realizzati in contesti scolastici ed extrascolastici in varie regioni d’Italia.
Sono tante le aree tematiche attorno alle quali si sono sviluppati i percorsi formativi. Solo per citarne alcune:
- Dipendenza da sostanze e comportamenti
- Alfabetizzazione emotiva, affettività, sessualità
- Violenza di genere
- Bullismo e cyberbullismo, pericoli della rete, tecnologie e ambienti digitali
- Pace, inclusione, resilienza
Una settantina di percorsi diversificati in base all’età dei destinatari e al territorio in cui possono essere realizzati, condotti da esperti ed attuati in differenti formati: incontri, esperienze, testimonianze di vita, spettacoli, assemblee di istituto, formazione per adulti, sportelli psicologici.
Un lavoro corposo che tenta di rispondere alle tantissime richieste di intervento arrivate in questi anni da parte delle scuole e dei territori. Un percorso scaturito da anni di esperienza sul campo, in ambito educativo e terapeutico che vanta tra i suoi punti di forza l’esperienza di vita di una Comunità che dalla sua nascita condivide situazioni di fragilità e debolezza.
Condizioni, queste ultime, dalle quali anche i nostri bambini e i nostri giovani non sono affatto esenti. Ne abbiamo evidenza quando ci raggiungono fatti di cronaca drammatici di cui sono protagonisti. Esiste però un disagio profondo che fa meno notizia, ma che è molto diffuso oggi tra bambini e ragazzi e che si manifesta negli stati depressivi che colpiscono in età sempre più precoce (anche in preadolescenza) così come negli aumentati casi di ritiro sociale, autolesionismo, disturbo dell’alimentazione, abuso di sostanze (alcol e cannabis in primis), suicidio e tentato suicidio. Sono molti i segnali lanciati da chi è in prima linea nei servizi di cura per la salute mentale e che ci avvertono di una vera e propria emergenza sociale in corso.
E la scuola davanti a tutto ciò? Quali sono i disagi riscontrati maggiormente dalle scuole? Lo chiediamo a Davide Bianchini, educatore e referente per la Comunità Papa Giovanni XXIII dell’ Area Prevenzione e da anni impegnato nelle scuole e nei territori della provincia di Milano.
“Penso che il disagio sia intorno e dentro la scuola. Nessuna dimensione di vita è impermeabile all’altra. Il disagio di cui molti studenti sono portatori e che si riscontra a scuola, è lo stesso che si trova al di fuori di essa. Benché gli insegnanti vorrebbero occuparsi solo di didattica, devono occuparsi anche di educazione, del ben-essere integrale dei loro studenti. Benché i genitori vorrebbero che i figli entrassero a scuola ignoranti e ne uscissero istruiti, devono fare i conti col fatto che questo non è un processo automatico. Il malessere dei minori è una questione sociale, che riguarda tutti. Se vogliamo che ci riguardi, ovviamente.
La scuola è simile ad un crocevia ed è uno spazio-tempo che ha il privilegio di intersecare la vita della maggior parte di bambini e ragazzi di questo paese, attraversato com’è dai nostri figli, ma anche da noi genitori e tutti i professionisti convocati a passare di lì”.
“Uno dei “motori del disagio” più emergenti che ho potuto osservare in questi anni di attività – dice Davide Bianchini – è la scarsa coscienza che noi adulti abbiamo del potere formativo delle nostre azioni, del nostro modo di comunicare, ma anche del nostro non-fare, non-intervenire, non prendere posizione. A peggiorare il quadro c’è poi il fatto che per lo più agiamo tutto ciò inconsapevolmente. “Ciò che fai (e “non fai”, aggiungo io) grida più forte di ciò che dici” diceva don Oreste Benzi. E un antico proverbio dice: “Le tua azioni sono i tuoi monumenti”. Restano di noi i nostri agiti, che sono ciò che nutrono e da cui apprendono bambini e ragazzi. I comportamenti raccontano quali sono le nostre priorità. Prendendomi il permesso di fare una necessaria generalizzazione, oggi nitidamente osservo che in noi adulti prevalgono: competizione, apparenza, performance, soldi, successo, vittoria, scarto, consumo.
Quali sono le maggiori difficoltà che hai colto da parte del mondo adulto nella sua funzione educativa verso le giovani generazioni?
“Di fronte all’esplosione del disagio psicologico che dilaga tra bambini e ragazzi, tanti esperti parlano di un fenomeno peculiare dei nostri tempi che ha una collocazione sociale, culturale, non solo familiare come spesso si insinua: quello di una realtà adulta estremamente fragile, che da un lato pone aspettative altissime nei ragazzi e nelle ragazze e dall’altro sottrae loro terreno, centrata com’è sui propri comfort e sui propri successi ad ogni costo. È una sorta di egoismo generazionale adulto, di intrappolamento in un loop narcisistico. Ad esempio: invochiamo misure contro l’uso delle tecnologie a scuola: ma device, applicazioni e algoritmi capaci di generare una così forte dipendenza li progettiamo, costruiamo e vendiamo noi adulti. Oggetti che sono veicoli, tra l’altro, di profitti altissimi, così come di altissimi costi sociali e ambientali. Come dire: da una parte imponiamo la cura e dall’altra inoculiamo la “malattia”. Non potremmo lavorare su questi costi, nell’ottica di prevenire un disastro annunciato, anziché demonizzare le tecnologie? Non potremmo tentare di crescere in umanità, anziché lasciar libero corso al profitto? E questo è solo un esempio. I volti contraddittori degli adulti si mostrano in tanti altri campi come, ad esempio, lo sfruttamento del pianeta, l’economia del profitto, le guerre. Le nuove generazioni ne fanno le spese e, non trovando chi li ascolti con autenticità, addomesticate come sono, poco inclini alle rivoluzioni, iperprotette dal mondo reale, ci urlano addosso il loro dolore, la loro angoscia, il vuoto che sentono, spesso silenziosamente, anche attraverso le tante forme di attacco al corpo. ”.
Come mondo adulto, quali passi vedi possibili nell’ intercettare sempre meglio i bisogni dei giovani?
“Come mondo adulto” – continua Bianchini- “non si tratta di definire le “colpe”, chi è buono e chi è cattivo, con la demoralizzante immobilità che di solito ne consegue, ma di assumersi delle responsabilità, come quelle di dotarsi di strumenti per riconoscere le nostre fatiche e non restare indifferenti di fronte al disagio dei ragazzi. Dovremmo crescere nella nostra personale “coscienza di sé”, accettando il fatto di non conoscerci mai a sufficienza e che da questa conoscenza può scaturire la motivazione al cambiamento, e svoltare coraggiosamente verso una “coscienza di noi”, lavorando, ad esempio, sul “senso di comunità”, un mantra ormai in tante nostre riflessioni ed interventi, unica possibilità che abbiamo per far fronte alla complessa realtà attuale e le sue sfide continue.
“Dietro alla sofferenza dei nostri ragazzi spesso c’è la ricerca irrisolta di significati, del bisogno di dar senso alle cose. La prevenzione, prima che con la mera informazione, la si fa aprendo spazi di riflessione attorno ai significati della vita, alla preparazione del futuro, alla crescita dei desideri. Un buon educatore nella prevenzione è chi sa farsi mediatore tra le istanze delle nuove generazioni e la realtà familiare, sociale, scolastica in cui sono inseriti. E’ un facilitatore che permette l’emersione, ripulita dai giudizi personali e generazionali, di quanto bambini e ragazzi vivano davvero e che sa mantenere una postura accogliente anche quando è scomodo e urticante sentirselo rovesciare addosso. E’ chi sa costruire relazioni fondate sull’autenticità. Tutti aspetti fondamentali che anche noi attraverso i nostri interventi educativi tentiamo di perseguire in collegamento con tutte le realtà coinvolte”.
Di Emanuela Frisoni