Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze. Come cambiano gli usi e i consumi degli italiani

L’intervista a Ivana Conterno,

Medico del SerD della provincia di Cuneo 

 

Tossicodipendenze-Relazione-annuale-Parlamento

 

Di Emanuela Frisoni

 

Parlare di droga sembra essere fuori moda, eppure i 15,5 miliardi di euro spesi dai consumatori per l’acquisto di sostanze stupefacenti in Italia parrebbero dire il contrario. “Una ricchezza enorme dilapidata, che si aggiunge ai danni, spesso irreversibili, derivanti alle persone dall’uso delle sostanze, e ai rilevanti costi sociali e sanitari della cura e del recupero, oltre che della sottrazione all’adempimento di doveri elementari. L’impatto complessivo sulla Nazione rischia di oltrepassare l’entità media di una legge di bilancio”. A riportarlo testualmente è la Relazione annuale al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, Dipartimento per le Politiche Antidroga, fotografia di un fenomeno drammaticamente in crescita e sul quale è necessario essere informati e cercare possibili risposte.

Un report puntuale e dettagliato. Più di 500 pagine in cui il fenomeno dipendenze viene analizzato in tutte le sue sfaccettature ed implicazioni, un’indagine approfondita sull’offerta e sul mercato delle sostanze stupefacenti. L’ analisi ad ampio spettro sul grande tema della diffusione e tendenza dei consumi riferita alla popolazione generale. Le attività di prevenzione, le offerte e le domande di trattamento comprendente l’offerta territoriale e dei servizi socio-sanitari pubblici e privati.

A fronte di un’indagine così articolata abbiamo scelto di dedicarvi alcuni approfondimenti con interviste, testimonianze e letture a tutto tondo fatte da educatori, ospiti delle nostre strutture, medici del SerD.  

Il nostro report si apre oggi con l’intervista alla dottoressa Ivana Conterno, medico che ha lavorato per trent’anni nell’ambito delle tossicodipendenze all’interno di un SerD in provincia di Cuneo. Da qualche mese in pensione Ivana, membro storico della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha scelto come volontaria di impegnarsi nell’ambito d’intervento delle dipendenze nelle nostre realtà comunitarie – l’occasione, come dice lei stessa, di poter vedere anche l’altro risvolto della medaglia che è quello del punto di osservazione più di diretta relazione con le persone 24 ore su 24, con accolti che hanno bisogno di interventi ad alta soglia.

 

Cosa, dal tuo osservatorio, ti ha colpito di più della Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia?

 

I dati relativi al 2022 evidenziano un aumento della percentuale dei giovani dai 15 ai 19 anni che consumano droghe – almeno una sostanza nell’ultimo anno.

L’approccio, il contatto dei nostri giovani con le sostanze psicoattive è notevole.

A fronte di un campione molto vasto, quello degli studenti, c’è un bacino di assuntori occasionali che nella vita hanno fatto uso più o meno una o due volte, mentre un 30% circa del campione ha usato sostanze stupefacenti occasionalmente nel corso dell’anno. 

 

 

Ma il target da attenzionare si aggira attorno al 4-5% della popolazione giovanile censita nel campione. Stiamo parlando di giovani che riferiscono un uso problematico di sostanze, soprattutto dei cannabinoidi, le più diffuse. In questo target di popolazione, ci sono le persone che usano molto frequentemente, più volte al mese, spesso più volte al giorno, e soprattutto coloro che utilizzano più sostanze insieme e quindi sono soggetti a maggior rischio di eventi acuti o di sviluppare poi nel tempo un disturbo vero e proprio da uso di qualsiasi sostanza.

Nella relazione annuale al Parlamento colpisce sempre, in riferimento ai giovani, il fatto che vi sia un abbassamento dell’età di inizio del consumo di sostanze, già prima dei 14 anni, soprattutto per quanto riguarda il comportamento di consumo nelle ragazze. 

Questi dati rilevano la necessità di realizzare interventi adeguati di natura preventiva. Tutte le attività di prevenzione, di promozione della salute che passano attraverso i “peer”, le attività di educativa di strada che coinvolgono i giovani eccetera, secondo me possono essere molto efficaci da questo punto di vista.

 

DROGA E GIOVANI, I RISCHI DELL’USO PRECOCE DI SOSTANZE PSICOATTIVE

 

La Relazione annuale al Parlamento dedica capitoli interi di approfondimento al tema droga e giovani, come a sottolinearne l’allarme sociale. Quali possono essere le conseguenze di uso precoce di sostanze psicoattive nei giovani?

 

L’attenzione all’uso di sostanze nella popolazione giovanile-adolescenziale è importante perché questa è l’età in cui il nostro cervello evolve con una maggiore forza e velocità, pertanto tutto ciò che dall’esterno impatta sul cervello può modificare le traiettorie di crescita. C’è proprio un’interferenza chimica, tanto più dannosa quanto più frequente è l’uso della sostanza che può causare cambiamenti a livello di sviluppo cerebrale ed essere causa di potenziali disturbi.  

 

Anche l’uso occasionale va attenzionato?

Sì, assolutamente, anche se è vero che il cervello dei giovani che utilizzano una tantum le sostanze può non risentirne e, comunque, ha le potenzialità per rimettersi in sesto. Le modificazioni che portano a un disturbo, impattando sui sistemi neurali, richiedono tempo e frequenza d’uso delle sostanze di un certo livello. Bisogna tener conto, comunque, che ci sono dei target di ragazzi fragili, con un patrimonio genetico particolare: ragazzi che hanno delle noxae familiari, ad esempio, storie familiari con la presenza di disturbi psichiatrici.  A questo tipo di giovani l’uso della cannabis, anche occasionale, può slatentizzare un disturbo psichiatrico anche grave. C’è poi tutto il discorso della concentrazione del tetraidrocannabinolo, il principio psicoattivo all’interno della cannabis che può essere presente a concentrazioni anche molto elevate. Mi sembra, come riferisce il Report, che vi siano stati casi in cui ingenti quantitativi di sostanze requisite dalle forze dell’ordine rilevassero la presenza del principio attivo fino al 90 per cento, percentuale molto elevata. Tanto più la concentrazione di tetraidrocannabinolo è elevata, maggiori sono gli effetti. Effetti che possono portare anche ad alterazioni di coscienza, fino ad arrivare a sintomi di tipo allucinatorio. C’è comunque da considerare che tutti coloro che usano sostanze in modo pesante hanno iniziato da un uso, come dire, occasionale che poi man mano si è intensificato. Quindi in generale è importante dare le giuste informazioni sul rischio rappresentato dal consumare sostanze. Il report dedica uno spazio proprio alla percezione del rischio degli studenti ed evidenzia come la percezione di rischio sia inferiore nei consumatori rispetto ai non consumatori. Cosa di per sé abbastanza fisiologica, perché se io uso una sostanza è perché penso che non sia così problematica per me, credendo di poterla controllare.

 

Relazione annuale al Parlamento 2

 

Quanto l’uso di sostanze psicoattive può impattare nelle abitudini e stili di vita quotidiani dei giovani?

 

Rispondo a questa domanda proponendo una riflessione su un aspetto che in genere viene sottovalutato. Nello sviluppo degli adolescenti, può succedere che vi possa essere una modificazione del ritmo sonno-veglia. In questo caso, per esempio i ragazzi, non tutti, ma la maggior parte, possono avere fisiologicamente un ritardo di fase, cioè sono portati ad addormentarsi più tardi e fisiologicamente starebbero a dormire fino a mezzogiorno. Però i nostri tempi di vita non sono sovrapponibili a questo ritmo, perché i ragazzi devono alzarsi presto al mattino per andare a scuola; non dormire in modo adeguato, quindi, può diventare un problema. In più se di notte vi è l’abitudine ad usare device, cellulari, computer eccetera, la situazione peggiora. Molto spesso i ragazzi trovano un’auto-soluzione utilizzando sia cannabinoidi che alcol, perché sperimentano una riduzione della fase di latenza del sonno; ad esempio, se bevo alcolici più del solito oppure fumo cannabis alla sera, sperimento rilassamento, sperimento che mi addormento prima. Ma il sonno indotto dalle sostanze non è fisiologico; l’alcol interferisce con la normale architettura del sonno, il vantaggio di addormentarsi prima si paga con un sonno più disturbato, anche i cannabinoidi sembra non agiscano fisiologicamente sul sonno… Fare un ragionamento su questa dinamica e dare delle indicazioni di buona igiene del sonno ai ragazzi e ai genitori può aiutare in qualche modo a prevenire un uso distorto delle sostanze.

Altri esiti dell’uso di sostanze sono legati ai disturbi dell’umore, disturbi della memoria. Un classico negli abusatori di cannabis è il calo delle prestazioni scolastiche perché c’è proprio un disturbo della concentrazione, della capacità di ritenere le informazioni. Vi sono poi conseguenze anche legate ad alcune prestazioni, tra queste la guida. Mettersi a guidare subito dopo aver “fumato”, a causa del rilassamento e/o sonnolenza e a seguito di alterazioni spazio-temporali, può esporre a gravi rischi. A essere influenzati sono anche i riflessi del movimento, perché i recettori cannabinoidi risiedono anche nelle aree del cervello che controllano le funzioni motorie. 

 

AUMENTATO L’USO DI STIMOLANTI, ALLUCINOGENI, COCAINA, OPPIACEI

Nella Relazione annuale al Parlamento si parla anche dell’ aumento di consumo di cannabinoidi sintetici nella popolazione giovanile e un generale incremento delle prevalenze nell’uso di stimolanti, allucinogeni, cocaina e oppiacei. Valori che sono tornati a crescere raggiungendo per la maggior parte delle sostanze valori pre- Covid.

È così. Altra cosa che colpisce è l’aumento esponenziale dei poliassuntori, incremento che riguarda non solo la popolazione giovanile, ma tutte le fasce d’età. Colpisce che nel Report, il campione nella popolazione generale analizzata, arrivi fino agli 84 anni e di come il polo più anziano sia comunque molto interessato dal consumo di sostanze, soprattutto oppioidi. Qui c’è tutto il discorso del misuso farmacologico che interessa soprattutto la fascia femminile della popolazione, altro target tutto da attenzionare soprattutto per i medici, in relazione alle prescrizioni per i problemi del dolore cronico: questo è un grosso tema che deve essere affrontato.

 

IL RUOLO DEI SerD E DEL PRIVATO SOCIALE. LE NUOVE SFIDE

La Relazione al Parlamento riferisce che in Italia vi siano più di 127.000 utenti presi in carico, un lavoro importante che coinvolge sia il pubblico che il privato sociale. A fronte della tua esperienza, come si sta modificando, nel “pubblico”, il tipo di approccio e di intervento al fenomeno dipendenze?

Nei SerD succede che attualmente vi sia un carico di lavoro molto pesante su utenti che hanno già una certa età e presentano livelli di cronicità elevati. Aspetti che in qualche modo interferiscono proprio sul buon funzionamento delle persone nella vita quotidiana. Da parte del SerD, quindi, c’è un carico di lavoro non soltanto sul versante sanitario, farmacologico o solo relativo al disturbo di per sé, ma anche relativo a sostenere le competenze necessarie ad affrontare il quotidiano. Questo tipo di approccio richiede una collaborazione tra servizi, un lavoro di rete molto forte tra i servizi sociali, la psichiatria, i comuni. Bisogna mettere in rete le risorse di ciascuno. Se una persona in carico al SerD, ad esempio, non ha un’abitazione dove stare, puoi pur dargli tutti i farmaci che vuoi, ma non arriviamo a risolvere il problema. Oppure se una persona vive sola e ha un cocktail farmacologico che deve assumere e  fatica a gestirselo da sola, bisogna creare una rete di persone, caregiver, per gestire la cosa. Questo solo per dare un’idea su quella che è la complessità da gestire. 

C’è poi il problema dei giovani che arrivano ai SerD anche se non con quella frequenza che uno si aspetterebbe dalla numerosità rilevata. Richiesta che impatta su servizi, poco abituati a interagire con i ragazzi. Questi, arrivano, vedono, chiedono, però poi non hanno bisogno necessariamente di essere presi in carico per lungo tempo, chiedono risposte veloci e più corrispondenti al proprio modo d’essere e di esistere. 

In diversi SerD d’Italia sono partiti dei ragionamenti specifici per rispondere meglio alle esigenze dei giovani. Si sta cercando di costruire degli ambienti molto più “smart” per i ragazzi, dove l’obiettivo non è la presa in carico, perché per i SerD presa in carico spesso vuol dire seguire dei pazienti praticamente per tutta la vita, proprio per il discorso della cronicità.

Nel caso dei giovani, invece, si tenta di non avere questa proiezione all’infinito, ma di dare delle opportunità più veloci e più di natura evolutiva, ponendo attenzione più alle risorse dei ragazzi che non al sintomo. Nella testa dei ragazzi il fatto di usare le sostanze, in qualche modo, è un comportamento normalizzato che rientra nelle loro modalità impulsive. L’obiettivo allora diventa quello di far integrare questa modalità “normale” di agire  dei ragazzi  con  aspetti invece più creativi, più affettivi, più produttivi in modo tale che lo sviluppo di questi aspetti sia in grado di ridurre e meglio controllare l’aspetto dell’impulsività, che in qualche modo facilita l’accesso alle sostanze.

 

Rispetto al grande tema della doppia diagnosi i Serd come si stanno muovendo?

Per doppia diagnosi si intende la condizione di una persona che ha contemporaneamente una diagnosi di dipendenza più una diagnosi psichiatrica, ma essendo che le sostanze psicoattive agiscono sul cervello, e il cervello è la sede delle malattie psichiatriche, non è così facile distinguere i due aspetti.

E più opportuno, in queste situazioni, che i due servizi, SerD e Salute Mentale, si prendano in carico l’unica persona e agiscano dei progetti comuni. È una cosa difficile, non semplice, perché anche le impostazioni di servizio a volte non facilitano il lavoro d’equipe in comune, però diciamo che lentamente si sta andando in questa direzione. Invece di parlare di diagnosi, parlare di funzionamento della persona è un paradigma che aiuta di più ad arrivare all’obiettivo poi di fare in modo che le persone vivano una vita dignitosa nel territorio dove stanno, con un supporto di servizi che fa un po’ da rete di protezione.

 

E il ruolo del privato sociale, in tutta questa analisi di presa in carico?

Se parliamo di comunità terapeutiche, il privato-sociale gioca un ruolo importante, come strumento che permette alle persone di sperimentare, in una dimensione drug free, un contesto vitale per quanto riguarda gli aspetti relazionali, educativi, ma anche i ritmi quotidiani, la cura di sé, il recupero di progettualità.

Anche nelle comunità ci si sta confrontando con il fenomeno della cronicità, soprattutto con i deficit a livello delle risorse personali che spesso comportano ridotte possibilità di vita autonoma. In questi casi è necessario costruire e/o mantenere la collaborazione con la rete dei servizi territoriali per poter gestire progetti specifici e mantenere la cura a lungo termine.

 

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